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Il greco apokàlypsis - da apokalýptein, rivelare, composto di apò, particella negativa rispondente al latino ab (che significa da, lontano da, senza e che nei composti ha senso prevalentemente di lontananza o di contrario a ciò che esprime la parola cui va unita) e kalýptein, coprire, nascondere - viene solitamente tradotto con Rivelazione; ed infatti è così detto l'enigmatico Vangelo attribuito all’apostolo Giovanni che - come ci ricorda Ottorino Pianigiani nel suo Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana (pubblicato nel 1907) - “sotto misteriosi segni contiene importanti arcani rivelatigli nell’isola di Pathmos nell’anno 93 di G.C.”.

Sempre dal prezioso vocabolario impariamo che rivelàre (lat. revelàre da re - addietro - e velàre - da vèlum, velo, cortina - cioè tirare addietro il velo) non è esattamente sinonimo di svelàre, che è invece velàre con preposta la s che sta per dis e che indica senso opposto, contrario: quindi togliere via il velo, scoprire qualcosa togliendo il velo che la copre.

Rivelare è infatti composto dalla particella re (che rimane di preferenza nelle parole dotte ma comunemente diviene ri) che deriva dal lat. retro, dietro, e sta ad indicare nelle parole composte un ritorno indietro, e quindi reazione, repulsione, restituzione, ripetizione (p. es. remuovere, restituire) o - nella forma ri - il ripetersi di un’azione, come in rifondere (dal lat. refundere). Svelare contiene invece come abbiamo visto la particella dis, che ha forza ora privativa (p. es. Dis-acerbare), ora negativa (Dis-abitare), ora indica azione contraria a quella espressa dalla parola semplice (Dis-fare), ora denota emozione, allontanamento, distacco (Dis-sipare, Dis-unire).

Da ciò risulta che sebbene i verbi svelàre e rivelàre siano comunemente considerati sinonimi, etimologicamente essi presentano un’importante sfumatura di differenza; rivelazione contiene infatti un duplice significato: da un lato il termine indica un’apparizione, la spiegazione di qualcosa, dall’altro esso assume il senso - inverso - di una sparizione, di un velare nuovamente, di un Ri-velare, appunto, che allude ad un nascondere sotto un nuovo velo, dietro una nuova metafora, in una nuova catena simbolica, se vogliamo.

Più adatto quindi alla traduzione di Apocalìsse - o Apocalìssi - sembra risultare il termine Svelamento, indicativo di una sorta di fine delle diverse ri-velazioni di cui si ammanta ciclicamente la Verità,  qualsiasi cosa noi vogliamo intendere per essa: inconoscibile e spaventosa nella sua nudità e nella trasparenza che infine assumono i veli simbolici dei quali, fino al momento cronologico o semplicemente logico dell’Apocalisse, essa si riveste.

 

 

 

Dato che il mondo prende una direzione delirante, occorre assumere un punto di vista delirante.
Jean Baudrillard

Come ogni sera Adamo ed Eva, in coda ad un disciplinato gruppo di Nuove Coppie con la Uno bianca posteggiata in seconda fila, aspettano il proprio turno davanti al distributore di videocassette, per noleggiare un film che conferisca senso alle loro nozze e alla serata davanti al televisore.

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Analizzeremo per concludere il problema del rapporto arte/tecnologia secondo una prospettiva particolarmente interessante, che desumiamo da alcune illuminanti considerazioni dello storico e critico dell’arte Alberto Boatto, così come sono espresse in un suo agile e -come sempre- acutissimo saggio del 19921.

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Sabato pomeriggio, il giorno delle inaugurazioni nelle gallerie d’arte. In città oggi ce ne sono tre, ed io, un po’ per piacere un po’ per dovere, dovrei essere presente. Decido di andare alla personale di un milanese emergente, che espone strane installazioni concettualmente sospese tra allusioni tecnologiche e suggestioni cyberpunk, disertando per il momento gli “agravitazionali”.

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Come talvolta è stato fatto notato dagli storici della scienza, nelle culture pre-scientifiche dominava una descrizione simbolica del mondo svolta secondo un registro fondamentalmente binario, la quale, muovendo dalle immagini archetipiche del binomio cosmico sole-luna, ad esso faceva corrispondere analogicamente ogni ente manifestato ed ogni suo aspetto: il giorno e la notte, il bianco e il nero, il maschile e il femminile. Questa bipartizione di base veniva però spesso concepita nella dinamica di un’alternanza incrociata, secondo una legge naturale per la quale ogni ente manifestato in un ordine di esistenza sottoposto al dominio binario, deve per definizione ritrovare anche in se stesso tale bipolarizzazione. Come in una infinita catena di scatole cinesi, ogni ente che secondo l’impianto “figura-sfondo” partecipa dell’idea della “figura” o dello “sfondo” (per esprimerci secondo un simbolismo visivo), deve a sua volta ritrovare in sé una identica bipartizione dei suoi elementi costitutivi, e così all’infinito. Per questo motivo alla base delle catene simboliche tradizionali si ritrova spesso – più che il simbolo binario – quello del quaternario. Il numero 4 e la sua raffigurazione iconica, il quadrato (che poi diventa cubo, casa etc.), corrispondono sempre ad una raffigurazione simbolica del “mondo” nel suo insieme, inteso sul suo versante più propriamente materiale.1

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Mi si consenta, nella sera di questo 1994 così fatale per il nostro Paese e forse per il nostro Mondo 1, di fare alcune digressioni d’ordine sociologico e generale, approfittando dell’opportunità di parlare da questa tribuna privilegiata in quanto laterale e immaginaria, come laterale e immaginaria è l’Arte di cui si occupa. Vorrei parlare della Trasparenza e della Superficialità.

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